Eccoci con una nuova intervista ad Angelica che potete trovare su instagram come angy.scrittura

Mi chiamo Angelica Terzoli e sono nata ad agosto 2004 in Provincia di Como.
A 15 anni ho iniziato a frequentare il corso CAT, per diventare geometra, ma col tempo ho scoperto che la mia vera passione era ben diversa. Nel 2020, per necessità, tra un attacco di panico e l’altro, ho iniziato a tenere un
diario. Eravamo in piena pandemia, ma carta e penna erano sempre lì, pronte ad ascoltarmi… in ogni momento. Perfino quando io stessa non riuscivo a capirmi, perfino quando il modo sembrava crollarmi addosso. In pochissimo tempo mi sono appassionata, fino a fare della scrittura il mio principale mezzo d’espressione. Oltre all’impellente necessità di esternare ciò che sentivo dentro, nonno ha avuto un grande ruolo nel farmi avvicinare a questo mondo. È lui che mi ha tramesso la passione per i Grandi della letteratura, primo su tutti Giacomo Leopardi. Dopo la su perdita, ho scoperto che anche lui, come me, teneva innumerevoli diari. In quel periodo, ero decisa a trasformare tutto il dolore che provavo in poesia. Così nacque la
prima raccolta, a lui dedicata: Cercare il bello (Indipendently published).
Nel frattempo, furono diagnosticati un disturbo d’ansia e la depressione maggiore. Ero distrutta ma, come mi aveva insegnato nonno: “in alto i cuori”. Dovevo andare avanti. Imparai che esiste sempre una ragione per continuare a vivere, e volevo urlarlo al mondo. Così scrissi il mio secondo libro: Campo di girasoli (PAV Edizioni). Dopo il diploma ho iniziato a lavorare al mio terzo libro: Il diario di Abby (Youcanprint), che è stato pubblicato in occasione della giornata della salute mentale, il 10 ottobre 2024.
Ad oggi studio psicologia, ma continuo a scrivere e illustrare per condividere pezzi di me tramite la mia arte. Spero, un giorno, di riuscire a fondere entrambe le mie passioni. Sono convinta che, come ho scritto in una mia poesia, “dove spazio e tempo
non arrivano, la parola salva e cura”. Stanza 301 (Youcanprint) è la mia ultima uscita, quella che mi attraversa di più. Una
raccolta poetica nata in reparto di Riabilitazione Psichiatrica. Non è un libro da spiegare, ma un luogo. Ci si entra in silenzio, senza bussare. Si resta per il tempo che serve: tra parole nude, corpi fragili, verità che non fanno rumore. Si esce cambiati, anche solo di un millimetro. Ma quel millimetro, a volte, basta per ricominciare.

1. Quando sei diventato scrittore?
Ufficialmente, potrei dire di essere diventata scrittrice con la pubblicazione del mio primo libro, Cercare il bello. È stato il momento in cui le mie parole sono uscite dal cassetto e hanno iniziato a camminare nel mondo, incontrando lettori, storie, emozioni. Ma in realtà, credo che la scrittura non inizi con una copertina o un contratto. Mi piace pensare che siamo tutti, in qualche modo, scrittori: scriviamo ogni giorno la nostra storia, anche senza penna, anche solo vivendo. Per questo, se devo rispondere con il cuore, direi: sono scrittrice da sempre. Da quando ho sentito il bisogno di dare forma ai pensieri, di trasformare il dolore in parole, di cercare un senso attraverso la scrittura. Prima ancora che qualcuno mi chiamasse “autrice”, lo ero già. Perché scrivere, per me, non è solo un mestiere: è un modo di esistere.
2. I social media svolgono un ruolo importante per te come autore?
3. I tuoi lettori ti contattano? Cosa dicono?
Devo ammettere che il mondo dei social non mi appartiene del tutto: non ne amo i ritmi frenetici, l’apparenza, la ricerca di attenzione. Eppure, come autrice emergente, ho imparato a riconoscerne il valore. I social, e in particolare Instagram, sono
diventati strumenti fondamentali per condividere il mio lavoro, raccontare il mio percorso e costruire un dialogo con chi mi legge. Spesso ricevo feedback positivi e commenti che mi scaldano il cuore. Senza la mia pagina, probabilmente, sarebbe stato molto più difficile tutto questo: farmi conoscere, far circolare i miei libri, entrare in contatto con lettori e lettrici che si sono riconosciuti nelle mie parole. È un canale diretto, umano, che va oltre la promozione: mi permette di essere presente, di raccontare non solo ciò che scrivo, ma anche perché lo faccio. In questo senso, pur con qualche resistenza, i social sono diventati parte del mio cammino creativo.
4. Come costruisci i tuoi personaggi e la trama?
5. Dove trovi le idee per i tuoi libri?
Nei libri che ho pubblicato finora, il punto di partenza è stato sempre molto personale: mi sono ispirata alla mia storia, ai miei vissuti, alle emozioni che ho attraversato. Come ho detto prima, la scrittura per me è nata come un atto necessario, terapeutico, e questo ha reso naturale il fatto che i miei personaggi portassero dentro di sé parti di me. In particolare, nei miei ultimi tre libri, la protagonista è Abby – o meglio, Abigail – la mia “personaggina”. Abby è una sorta di alter ego narrativo: fragile, lucida, piena di
domande. Attraverso di lei riesco a raccontare aspetti profondi della salute mentale, del dolore e della ricerca di senso, ma anche la forza che può nascere dalle crepe. Più che “costruirla”, Abby è venuta fuori da sola, pagina dopo pagina, come se esistesse
già dentro di me e aspettasse solo di essere ascoltata. Quanto alla trama, non seguo schemi rigidi: lascio che siano le emozioni a guidarmi, e spesso la storia si sviluppa in modo fluido, spontaneo, seguendo il ritmo del sentire prima ancora che della logica.
6. Come gestisci le recensioni negative sul tuo libro?
Le recensioni negative, per quanto dolorose, fanno parte del percorso di ogni autore. Perché scrivere e pubblicare significa esporsi, mettersi in gioco, e accettare che non tutto ciò che arriva sarà sempre positivo o in linea con le nostre aspettative.
Detto questo, cerco di accogliere le critiche con mente aperta, soprattutto quando sono costruttive. Mi aiutano a vedere i miei testi da un altro punto di vista, a crescere, a migliorare. È un po’ come tornare a scuola: ogni osservazione può diventare un’occasione per imparare qualcosa di nuovo su me stessa, sulla mia scrittura, su come viene percepita. Ovviamente, distinguo tra le critiche fatte con rispetto e quelle mosse solo per denigrare. Le prime le ascolto con gratitudine; le seconde cerco di lasciarle andare, ricordandomi che non posso piacere a tutti — e va bene così.

7. Che consiglio dai ai nuovi autori?
Il primo consiglio che mi sento di dare è: credeteci. Credete profondamente nelle vostre parole, anche quando sembrano fragili, anche quando il mondo intorno sembra non accorgersene. Scrivere è un atto di coraggio, e pubblicare lo è ancora di più. Ma se sentite che quella storia ha qualcosa da dire, se nasce da un’urgenza autentica,
allora vale la pena portarla nel mondo. A chi sta per pubblicare il suo primo libro direi anche di non avere fretta. Prendetevi il tempo di rileggere, di curare il testo, di cercare la forma che meglio rappresenti ciò che volete dire. E poi, scegliete con attenzione come pubblicare: informatevi, confrontatevi, valutate se volete intraprendere la strada dell’auto pubblicazione o cercare una casa editrice che rispecchi i vostri valori. Infine, non abbiate paura di esporvi. Pubblicare è anche imparare: a mettersi in gioco, a promuoversi, a raccontarsi. Non è sempre facile, soprattutto all’inizio, ma fa parte del percorso. Ogni libro è un ponte: tra voi e gli altri. E anche se raggiungesse solo una persona, se quella persona si sentisse meno sola grazie alle vostre parole, allora ne sarà valsa la pena.
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